Perché i dipendenti lasciano l'azienda? 7 motivi
28/06/2018
Le competenze e l’esperienza dei collaboratori sono tra le risorse più preziose per le aziende, soprattutto in questo contesto economico e di mercato caratterizzato da una costante trasformazione e innovazione.
Trattenere i migliori talenti e fidelizzarli è essenziale anche per attrarli in fase di recruiting, perché contribuisce a rafforzare l’immagine aziendale e a diffondere una cultura e un clima positivi.
Prima di comprendere come attrarli e trattenerli, tuttavia, è fondamentale rispondere a una domanda: perché i dipendenti lasciano l’azienda? Nelle prossime righe elenchiamo 7 motivi.
I costi del turnover per le imprese
Le persone che lavorano per un’azienda ne diventano i primi veri ambasciatori, ruolo che si rivela essenziale per il suo forte impatto sulla brand awareness che determina le decisioni d’acquisto dei clienti e l’appetibilità dell’impresa in fase di recruiting.
I dati dell’Osservatorio INPS pubblicati da Repubblica evidenziano una rapida crescita del turnover, determinata dal +19,2% di assunzioni rispetto all'anno precedente (2016) a fronte di un +15,9% di cessazioni.
Occorre, innanzitutto, distinguere il cosiddetto turnover fisiologico da quello patologico. Il primo comprende pensionamenti e assunzioni che non hanno un’incidenza determinante sulle performance, garantendo una continuità e una stabilità organizzativa all'azienda. Il secondo è invece più preoccupante, perché le dimissioni sono riconducibili all'insoddisfazione e alla scarsa motivazione dei collaboratori.
Andiamo, dunque, alla ricerca delle motivazioni alla base del turnover patologico che portano i collaboratori a cercare una nuova occupazione.
Perché i dipendenti lasciano l'azienda?
Il mercato del lavoro statunitense è certamente diverso da quello italiano, tuttavia, osservando in prospettiva i dati del Dipartimento del Lavoro, si nota un trend negativo nella durata della permanenza dei collaboratori in un’azienda che è passata da una media di 4,6 anni nel 2014 a 4,2 nel 2016.
Cosa significano queste statistiche?
I manager fanno sempre più fatica a coinvolgere e trattenere i collaboratori o forse si tratta semplicemente dell’ennesima evoluzione dell’era digitale?
Lasciando da parte i macro-trend che riguardano comunque tutte le imprese e i settori, l’abilità di stimolare l'engagement è una competenza chiave per i leader, determinante per il successo e le performance dell’azienda.
Iniziamo allora con le 7 ragioni principali che abbiamo individuato, con alcuni consigli per migliorare la retention.
1.Visione e cultura aziendale
Ogni collaboratore ha bisogno di sentirsi apprezzato e di riconoscere un valore nelle attività che svolge quotidianamente. La definizione di obiettivi e benchmark è importante, ma lo è altrettanto la condivisione delle strategie e della visione che supporta i numeri.
Un esempio? Walt Disney è forse il caso più emblematico di visione del futuro coinvolgente al punto da guidare i suoi collaboratori. Il parco tematico Disneyland è stato ideato mentre il fondatore si trovava al parco con i propri figli. Seduto su una panchina con altri genitori, sognava a occhi aperti un luogo di divertimento per adulti e bambini, insieme. La sua visione oggi vale miliardi ed è alla base della società media più grande al mondo. Decisamente un successo di storytelling, in primis verso i collaboratori e poi verso il pubblico.
2. Coinvolgimento nella mission dell’azienda
Sempre a proposito di apprezzamento, la mission ricopre un ruolo essenziale affinché le persone riconoscano lo scopo del proprio lavoro come importante. Questa aspirazione ha poi un impatto diretto sul senso di appartenenza che motiva i collaboratori a dare il meglio di sé ogni giorno.
Nelle imprese di successo, pur nelle trasformazioni organizzative e nei cambi di strategia, la mission resta un punto fermo.
3. Empatia e ascolto delle esigenze
Per ottenere fedeltà da parte di collaboratori e clienti, è necessario prima di tutto stabilire un legame basato sulla fiducia reciproca. Come si alimenta? La risposta, apparentemente molto semplice è: mettendosi in ascolto delle persone.
L’approccio personale si concretizza nella disponibilità ad accogliere i suggerimenti, le opinioni e anche le lamentele dei propri collaboratori e di dimostrare impegno per andare incontro alle loro esigenze.
4. Motivazione & soddisfazione
Le motivazioni al lavoro si suddividono in due categorie principali (ne abbiamo parlato anche in questo articolo): intrinseche ed estrinseche.
Mentre le motivazioni estrinseche sono molto collegate all'aspetto retributivo e del riconoscimento economico dei successi, quelle intrinseche sono invece connesse al desiderio personale di svolgere il proprio ruolo al meglio e dare un contributo concreto al raggiungimento degli obiettivi di business.
Sempre più ricerche, raccolte tra gli altri nel libro “Drive” dell’analista di percorsi professionali Daniel Pink, dimostrano come l’aspetto economico non sia più l’unico incentivo sufficiente per coinvolgere e trattenere i talenti in azienda. Nel video proposto qui sotto, l’intervento dell’autore all'evento TED Global.
5. Opportunità di carriera e formazione
Il fatto che i collaboratori siano motivati dalla possibilità di migliorare la propria posizione in azienda non è certo una novità sorprendente, ma nel contesto attuale, la mancanza di percorsi di carriera definiti in modo trasparente può diventare uno stimolo a cercare un nuovo impiego.
Attività come i colloqui di feedback e le performance review, se svolte regolarmente, sono occasioni preziose per comprendere gli interessi, le motivazioni e le ambizioni dei collaboratori e comunicare le opportunità di crescita.
Molto connesso all’aspetto dello sviluppo è quello relativo alla formazione delle risorse: quando le aziende investono nel training per accrescere le competenze, infatti, si registra anche un incremento nella retention dei collaboratori.
6. Work-life balance
Promuovere un corretto equilibro tra la sfera lavorativa e quella privata, pur non essendo un benefit vero e proprio, è uno dei fattori più importanti per attrarre talenti e per migliorare il livello di engagement dei collaboratori.
Al giorno d’oggi, un piano work-life balance per essere efficace non deve semplicemente prevedere degli orari di lavoro definiti, ma al contrario offrire flessibilità e l’opportunità di svolgere attività di svago o di volontariato, ad esempio, anche in orario d’ufficio.
7. Attenzione al welfare
Partendo dall’obiettivo di diffondere benessere che caratterizza anche l’idea di work-life balance, le aziende hanno a disposizione diverse soluzioni di welfare che garantiscono anche importanti vantaggi fiscali. Come individuare quella più adatta alla propria realtà?
Per strutturare un piano davvero su misura, oppure semplicemente per servizi flessibili di welfare, è importante prendere in considerazione una serie di parametri fondamentali. Le aziende hanno a disposizione sia soluzioni estremamente veloci e semplici da introdurre che progetti più strutturati che prevedono l’utilizzo di una piattaforma welfare, per questo è importante avere il supporto di un partner per identificare la soluzione migliore.
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